Van Gogh – I Mangiatori di patate
di Vincent Van Gogh
I mangiatori di patate (De Aardappeleters) è un dipinto del pittore olandese Vincent van Gogh, realizzato nel 1885 e conservato al Museo Van Gogh di Amsterdam.
I mangiatori di patate propone una rappresentazione autentica e non emendata della realtà, dove soggetti generalmente ritenuti indegni di rappresentazione pittorica, come i contadini di Nuenen, non sono discriminati in virtù della loro «bruttezza» ma, anzi, vengono presentati con uno stile sincero e privo di compiacimenti estetizzanti. Van Gogh, poi, qui porta alle estreme conseguenze la logica del Realismo: se pittori come Millet e Jozef Israëls conferivano ai propri contadini una forte valenza affettiva e sentimentale, in quest’opera van Gogh prende le distanze dall’idillio romantico che scintillava nelle opere dei suoi illustri predecessori e approda ad un’interpretazione del dato sociale cruda, impietosa, squisitamente realistica ed esasperata sino a culminare nel potenziamento espressivo dei lineamenti somatici dei cinque commensali.
L’opera, in effetti, raffigura l’interno di una povera abitazione di Nuenen, appena illuminata da una fioca luce che, sgorgando dalla lampada a petrolio appesa a una delle travi di un soffitto, indugia con i suoi sfolgorii vacillanti sulle cuffie bianche, sulle tazzine di caffè, e sul magro pasto dei cinque commensali. Al centro della composizione, infatti, troviamo una famiglia di contadini che, dopo aver trascorso la giornata a vangare le terre e a sudare nei campi, si sono riuniti intorno a un tavolaccio per consumare la cena. Un’anziana signora, ricurva per la fatica accumulata durante il giorno appena terminato, versa del caffè nero e bollente nelle tazzine, mentre quello che probabilmente è suo marito si lascia stuzzicare l’appetito dalla patata che reca in mano. Una donna a sinistra, dalla bellezza ormai definitivamente incrinata, si avventura con la forchetta sul vassoio recante le patate bollite, ancora calde e fumanti. Lo sguardo della donna è teneramente rivolto verso l’uomo che ha accanto, i cui lineamenti sono penosamente abbrutiti dalla fatica e dalla rassegnazione per un destino che mai cambierà. In primo piano, infine, troviamo una bambina: non possiamo vedere che sta facendo, anche se possiamo ben immaginare che abbia le mani giunte al petto e che stia recitando una preghiera prima del pasto (sembrerebbe, poi, che nascondendo il volto della fanciulla Vincent abbia voluto «salvarla» per vie pittoriche dal destino miserabile che le si apre davanti).[8] Gli sguardi dei vari contadini sono sfuggenti, non si incrociano, e soprattutto la bambina in primo piano rafforza l’idea che l’osservatore del dipinto si stia intrufolando indebitamente in un momento così intimo, agendo con il suo tergo come un vero e proprio fattore di distanziamento. La presenza di questa bambina, inoltre, è molto interessante non solo perché tenta di ovviare alla maldestra disposizione radiale della famiglia, raccordando in un certo senso le due parti, ma anche perché ponendosi in posizione intermedia tra l’osservatore e la sorgente luminosa dà vita a un affascinante effetto di controluce.
Lo stesso van Gogh sottolinea come le mani nodose che ora stanno afferrando avidamente le patate sono le stesse che, durante il giorno appena trascorso, le hanno seminate, e cresciute, e raccolte:
« Ho voluto, lavorando, far capire che questa povera gente, che alla luce di una lampada mangia patate servendosi dal piatto con le mani, ha zappato essa stessa la terra dove quelle patate sono cresciute; il quadro, dunque, evoca il lavoro manuale e lascia intendere che quei contadini hanno onestamente meritato di mangiare ciò che mangiano. Non vorrei assolutamente che tutti si limitassero a trovarlo bello o pregevole » |
(Vincent van Gogh[8]) |
Lo stesso tema secondo l’interpretazione datane da Jozef Israëls
Tutt’intorno si estende la misera abitazione dei contadini, dove troviamo un rudimentale orologio (nell’angolo in alto a sinistra), una teiera (nell’angolo diametralmente opposto), le varie posate logore contenute in un recipiente di legno e, soprattutto, la stampa di un Crocefisso. Si tratta questo di un dettaglio di non poco conto: van Gogh, in questo modo, ribadisce l’intima sacralità del pasto serale, un rito profondamente radicato nel consesso umano e che rinvia a valori primigeni, come l’ethos del lavoro, l’importanza della famiglia, le qualità delle cose semplici, ma fatte col cuore, e perciò vere.[9] Lo stesso van Gogh, intrufolandosi in questo mondo così arcaico ed ancestrale, restituisce dignità artistica a questo momento più che sacro, dove i vari villici accantonano il loro fardello di fatiche quotidiane e ritrovano finalmente un attimo di unione, di solidarietà. Sembrerebbe quasi una cerimonia, con un preciso codice vestiario (gli uomini indossano il berretto, le donne la cuffia) e con una silenziosa gratitudine che aleggia sulle varie figure, le quali – con i gesti lenti, ripetuti ma premurosi e gli sguardi sì segnati, ma appagati – si sentono forti di questa vicinanza, e non si lasciano intimorire neanche dalla notte che tenta invano di penetrare dalle finestre consunte sullo sfondo. «Il cibo, per quanto poco sia, è la giusta ricompensa per chi ha faticato, è una sorta di sacramento amministrato su un tavolo-altare che di sacro ha ben poco, eppure ne reca in sé l’estrema potenza» osserva in tal senso Ginevra Amadio.[10]
Sembrerebbe quasi che van Gogh voglia dare vita a un’immagine emotiva, se non idillica: questo proposito, seppur palpabile, viene vigorosamente respinto dal pittore, che ne I mangiatori di patate adotta una tavolozza molto buia, giocata su colori terrosi pastosi, ovvero brunastri, gialli, e neri.[8] L’inquietante monocromia che scaturisce dall’impiego di queste tonalità cupe e sporche conferma infatti gli intenti crudamente realistici di van Gogh, desideroso di rappresentare la povera vita degli operai e lo squallore delle loro condizioni di vita, ma stavolta con la forza espressiva di chi ha assistito di persona a tali scene.
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